di Luigi Giussani
Figuriamoci un paesino di montagna, alcuni decenni fa. Un'unica mulattiera unisce il villaggio al paese più grande, giù a fondo valle. Non c'è un medico stabile, ma c'è il comune, con un sindaco. Tutti vivono del bosco, qualche gallina, qualche mucca, nessun nesso col mondo. Un paesino chiuso, degradato. Nell'unica casa un po' bella del paese una famiglia venuta dalla città viene a stabilirsi. Un signore e una signora molto distinti, due bambini. Sono gentilissimi, ma tutto il villaggio si ritrae di fronte a loro. Li spiano dalle fessure delle persiane quando passano, nell'unica botteguccia del paese non accettano alcun tipo di conversazione, nessuno li saluta. Accade un giorno che un abitante del paese si infortuna gravemente. La signora è medico e si adopera in tutti i modi fino alla sua completa guarigione. Così il ghiaccio si rompe e via via, molto lentamente, si crea non tanto un affiatamento a parole, ma un affiatamento pratico. Anche lui si rende disponibile a ogni necessità: un camino si rompe, un macchinario da riparare..., quel signore di città sa sempre come intervenire. «Sarà un ingegnere», dicono tra loro in paese. Lui la sera andava sempre nell'unica osteria del villaggio dove gli uomini giocavano a carte avvolti in una nuvola di fumo. E, dapprima, se ne stava lì a guardare, poi nell'impaccio generale chiede di poter giocare anche lui, e gli uomini del paese scoprono che è anche un ottimo giocatore. Insomma, dopo qualche settimana quella era la famiglia più amata del paese. Una domenica, mentre stavano giocando a carte, si interrompe per raccontare di quando aveva viaggiato nella Terra del Fuoco e tutti se ne stavano lì con le carte in mano e la pipa in bocca ad ascoltarlo, perché parlava in modo affascinante, sapeva una infinità di cose. A un certo punto il più vecchio di tutti tira fuori la pipa dalla bocca, mette giù le carte e dice:
«Senti, tu devi rispondere alla nostra curiosità. Molti fra noi dicono che sei un ingegnere, molti dicono che sei uno scienziato, altri dicono altre cose. Ma tu chi sei? Come fai a essere così bravo in tutto, a sapere tante cose?».
Allora lui dice: «Amici, adesso che siamo veramente in confidenza ve lo posso dire. Però non dovete tradirmi, perché per una serie di ragioni la mia posizione è delicata nei confronti della legge, e se si sapesse che sono qui mi arresterebbero subito. Io sono il re del Portogallo in esilio».
A nessuno lì nell'osteria viene in mente di mettere in dubbio questa risposta: la sua risposta, inimmaginabile, s'addiceva al suo tipo di persona.
domenica 20 luglio 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Scusa ma non capisco la storia.
Probabilmente mi manca qualche passaggio che voi avete già affrontato... ma a che proposito Giussani scrive ciò? perchè il re del portogallo?
Ciao Enrico
Posta un commento